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noi non possiam «vincer la punga» dell’entrar dentro alla cittá, «tal ne s’offerse», cioè Iddio, di lasciarci quaggiú scendere, che egli fará si che, malgrado de’ dimòni, noi passerem dentro; ma per la ragion di sopra detta non compie’ l’orazione, si come disideroso di quello che le sue seguenti parole sonarono. Nondimeno per le parole dette da Virgilio: «Oh! quanto tarda a me ch’altri qui giunga», entrò l’autore in un dubbio, il quale egli muove a Virgilio dicendo: — «In questo fondo della trista conca», dello ’nferno, il quale nomina «conca», dalla similitudine che hanno alcune conche alla forma essenziale dello ’nferno, il quale, come detto è, è ampio di sopra e di sotto vien ristrignendo; «Discende mai alcun del primo grado», cioè cerchio, «Che sol per pena ha la speranza cionca?» — Pon qui l’autore il contenente per la cosa contenuta; percioché il cerchio non ha alcuna pena egli, ma quegli, che in esso posti sono, hanno quella pena la quale discrive al cerchio; cioè che essi, come in quella parte è stato detto, hanno per pena il disiderare senza speranza, e cosi hanno cionca, cioè mozza e separata da sé, la speranza. Ed è questo «cionca» vocabolo lombardo, il quale appo noi non suona quello che appo loro, percioché noi diremmo d’uno che molto bevesse: colui «cionca». «Questa quistion fec’io», a Virgilio, che detta è; «e quei: — Di rado Incontra», —cioè avviene, «mi rispose, —che di nui», li quali nel primo cerchio dimoriamo, «Faccia ’l cammino alcun pel quale io vado», cioè discenda quinci giú. «Ver è, ch’altra fiata quaggiú fui», dove noi siamo, «Congiurato», cioè per congiurazion sforzato, «da quella Eritón cruda», cioè da quella femmina crudele cosi chiamata, «Che richiamava l’ombre a’corpi sui», per forza di suoi incantamenti. Di questa Eritón scrive fiere e meravigliose cose Lucano nel sesto suo libro, dove dice: Hos scelerum ritus, haec cLirae carmina gentis, effera damnarat nimiae pietatis Erictho, inque novos ritus pollutam duxerat artem, ecc.;