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dall’autore di sopra, dove dice: «dimmi la cagione, Perché l’ha tanta discordia assalita». E dice che tre vizi sono cagione della discordia: cioè superbia, la quale era grande in messer Vieri e ne’ consorti suoi, per le ricchezze e per lo stato il quale avevano; e per questo essendo male accostevoli a’cittadini, e dispiacendone molto, in parte si generò la discordia. Il secondo vizio e cagione della discordia dice essere stata invidia, la quale sente l’autore essere stata nella parte di messer Corso, il quale a rispetto di messer Vieri era povero cavaliere, ed era grande spenditore; per che veggendo sé povero e messer Vieri ricco, gli portava invidia, come suole avvenire; ché sempre alle cose, le quali piú felici sono stimate, è portata invidia. [E, oltre a ciò, v’era la preeminenza dello stato, al quale generalmente tutti coloro, che in istato non si vedevano, portavano invidia: dalla quale invidia, stimolante coloro li quali ella ardeva, furono aguzzati gl’ingegni e sospinti a trovar delle vie e de’ modi, per li quali la discordia s’avanzò, e poi ne segui quello eh’è mostrato.] 11 terzo vizio dice essere l’avarizia, la quale consiste in tenere piú stretto che non si conviene quello che l’uom possiede, e in disiderare piú che non bisogna altrui d’avere; e cosí può essere stata, e nell’una parte e nell’altra, cagione di discordia: nell’una, cioè nella Bianca, della quale erano caporali i Cerchi, li quali erano tutti ricchi, e se per avventura corteseggiato avessero co’ lor vicini, come non faceano, non sarebbon nate delle riotte che nacquero; e cosí nella parte Nera, se stati fossero contenti a quello che loro era di bisogno, non avrebbon portata invidia a’ piú ricchi di loro, né disiderata la discordia, per potere per quella pervenire ad occupare quello che loro non era di necessitá; il che poi, rubando e scacciando, mostrarono nella partita de’ loro avversari. E cosí questi tre vizi sono le tre faville che hanno accesi i cuori a discordia e a male adoperare. «Qui pose fine», Ciacco, «al lacrimabil suono», cioè ragionamento; e chiamalo «lacrimabile», percioché a molti fu dolorosissimo, e cagione di povertá e di miseria e di pianto, e tra gli altri all’autor medesimo, il quale cadde dallo stato, nel quale era, in perpetuo esilio.