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e secche, si come Aristotile mostra nel terzo libro della sua Meteora] percioché, essendo l’esalazioni calde e secche dalle fredde e umide circundate, sforzandosi quelle d’uscir fuori e queste di ritenerle, avviene che, per lo violento moto delle calde e secche, elle s’accendono, e, per quella virtú aumentata, assottiglian tanto la spessezza della umiditá, ch’ella si rompe, ed in quel rompere fa il suono, il qual noi udiamo. Il quale è tanto maggiore e piú ponderoso, quanto la materia della esalazione umida si truova esser piú spessa quando si rompe. La qual cosa intervenir non può in quello luogo dove l’autore disegna che era, percioché in quello non possono esalazioni surgere che possano tuono causare: per che assai chiaro puote apparere l’autore per questo «tuono» intendere altro che quello che la lettera suona, si come giá è stato mostrato nell’al legoria del precedente canto. «Si, ch’io mi riscossi, Come persona ch’è per forza desta». E in queste parole mostra ancor l’autore gli atti infernali tutti essere violenti. «E l’occhio riposato». Dice «riposato» percioché prima invano si faticherebbe di guardare chi è desto per forza, se prima alquanto non fosse lo stupore dello essere stato desto, cessato; conciosiacosaché non solamente l’occhio, ma ciascun altro senso n’è incerto di sé divenuto. «Intorno mossi, Dritto levato»; in questo dimostra l’autore il suo reducere i sensi nelli loro debiti ufici; «e fiso riguardai», le parti circustanti: ed a questo segue la cagione perché ciò fece, cioè «Per conoscer lo loco, dov’io fossi», percioché quello non gli pareva dove il sonno l’avea preso. «Vero è»; qui dimostra d’aver conosciuto il luogo nel quale era, e dimostra qual fosse, dicendo «che in sulla proda io mi trovai», cosí desto, «Della valle d’abisso dolorosa», sopra la quale come esso pervenisse è nella fine del senso allegorico del precedente canto mostrato; «Che tuono accoglie d’infiniti guai», cioè un romore tumultuoso ed orribile simile a un tuono. «Oscura», all’apparenza, «profonda era», all’esistenza, «e nebulosa», per la qual cosa, oltre all’oscuritá, era noiosa agli occhi; «Tanto che per ficcare», cioè agutamente mandare, «il