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Intende la divina Scrittura, la qual noi «teologia» appelliamo, quando con figura d’alcuna istoria, quando col senso d’alcuna visione, quando con lo ’ntendimento d’alcun lamento, e in altre maniere assai, mostrarci l’alto misterio della incarnazione del Verbo divino, la vita di quello, le cose occorse nella sua morte, e la resurrezione vittoriosa, e la mirabile ascensione, e ogni altro suo atto, per lo quale noi ammaestrati, possiamo a quella gloria pervenire, la quale Egli e morendo e resurgendo ci aperse, lungamente stata serrata a noi per la colpa del primiero uomo. Cosí li poeti nelle loro opere, le quali noi chiamiamo «poesia», quando con Azioni di vari iddii, quando con trasmutazioni d’uomini in varie forme, e quando con leggiadre persuasioni, ne mostrano le cagioni delle cose, gli effetti delle virtú e de’ vizi, e che fuggire dobbiamo e che seguire, accioché pervenire possiamo, virtuosamente operando, a quel fine, il quale essi, che il vero Iddio debitamente non conosceano, somma salute credevano. Volle lo Spirito santo mostrare nel rubo verdissimo, nel quale Moisé vide, quasi come una fiamma ardente, Iddio, la verginitá di Colei che piú che altra creatura fu pura, e che dovea essere abitazione e ricetto del Signore della natura, non doversi, per la concezione né per lo parto del Verbo del Padre, contaminare. Volle per la visione veduta da Nabucodonosor, nella statua di piú metalli abbattuta da una pietra convertita in monte, mostrare tutte le preterite etá dalla dottrina di Cristo, il quale fu ed è viva pietra, dovere summergersi; e la cristiana religione, nata di questa pietra, divenire una cosa immobile e perpetua, si come gli monti veggiamo. Volle nelle lamentazioni di Ieremia, l’eccidio futuro di Ierusalem dichiarare.

Similemente li nostri poeti, fingendo Saturno avere molti figliuoli, e quegli, fuori che quattro, divorar tutti, niuna altra cosa vollono per tale Azione farci sentire, se non per Saturno il tempo, nel quale ogni cosa si produce, e come ella in esso è prodotta, cosí è esso di tutte corrompitore, e tutte le riduce a niente. I quattro suoi figliuoli non divorati da lui, è l’uno Giove, cioè l’elemento del fuoco; il secondo è Giunone, sposa