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questo nome «solo» fosse nome adiettivo, e «uno» fosse nome proprio di quel numero, e cosí cesserebbe il vizio. «M’apparecchiava a sostener la guerra», cioè la fatica, nemica e infesta al mio riposo, «si del cammino», che far dovea (in che mostra dovere il corpo esser gravato), «e si della pietate», cioè della compassione, la quale aspetta d’avere vedendo l’afflizione e le pene de’ dannati e di quegli che nel fuoco si purgano. Ed in questo dimostra l’anima dovere esser faticata, percioché essa è dalle passioni, che dalle cose esteriori vengono, gravata e noiata essa, e non il corpo; quantunque ella sia ancor gravata dalle passioni corporali. «Che tratterá», cioè racconterá, «la mente», cioè la potenza memorativa, «che non erra»; e questo dice, percioché si conosceva aver tenace memoria, per la qual cosa non temeva dovere errare né nella quantitá né nella qualitá. «O muse, o alto ingegno». In questa seconda parte l’autore fa la sua invocazione, secondo il costume poetico. Usano i poeti in pochi versi dire la intenzion sommaria di ciò che poi intendono di trattare in tutto il processo del libro, e, questo detto, fare la loro invocazione. E cosí fa Virgilio nel principio del suo Eneida: ... at nunc horrentia Martis arma, virumque cano, Troiae qui primus ab oris, ecc.; e, questi pochi versi detti, incontanente invoca, dicendo: Musa, mihi causas memora: quo numine laeso, ecc. E Ovidio, nel principio del suo maggior volume, dice: In nova fert animus mutatas dicere formas corpora; ed incontanente invoca, dicendo: ... dii coeptis, nam vos mutastis et Mas, aspirate meis, ecc.

E talvolta i poeti, insieme con la invocazione, mescolano la sommaria intenzion loro; e cosí, nel principio della sua Odissea,