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capitolo iii 57


E nel pensiero piú volte dubitai di non poter raffrenare l’ardente disio d’abbracciarlo, quando prima il vedessi innanzi a qualunque persona. Ma a queste cose provvidero gl’iddíi per modo a me notevole piú che troppo. Io ancora nella mia camera stando, quante volte in quella alcuna persona entrava, tante credeva che venuta mi fosse a dire: «Panfilo è venuto». Io non udiva voce alcuna in alcun luogo, che io con gli orecchi levati non le raccogliessi tutte, pensando che di lui tornato dovessero dire. Io mi levai, credo, piú di cento volte giá da sedere correndo alla finestra, quasi d’altro sollecita, in giú e ’n su rimirando, avendo prima a me medesima pensando scioccamente fatto credere: «Egli è possibile che Panfilo ora venuto ti venga a vedere». E vano ritrovando il mio avviso quasi confusa dentro mi ritornava. Io dicendo che esso alcune cose dovea al mio marito recare nella sua tornata, spesso e se venuto fosse, o quando s’aspettasse e dimandava e facea dimandare. Ma di ciò niuna lieta risposta mi pervenia, se non come di colui che mai piú venire non dovea, se non come ha fatto.