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52 l'elegia di madonna fiammetta


erano da me rimosse le mie sollecitudini infinite; nelli quali luoghi stando, piú volte m’avvenne che io vidi di quelli giovani i quali io molte volte con Panfilo avea veduti, né mai che io gli vedessi avvenia che io tra loro non mirassi, quasi tra essi dovessi Panfilo rivedere. Oh quante volte io fui in ciò avvedutamente ingannata! E come, ancora che ingannata fossi, mi giovava di loro vedere! Li quali, se il loro aspetto non mi mentiva io gli vedea della mia compassione medesima pieni, e quasi del loro compagno rimasi soli, mi pareano non cosí lieti come soleano. Oh, che voler fu piú volte il mio di dimandarli che fosse del loro compagno, se la ragione non m’avesse tenuta! Ma certo la fortuna in ciò alcuna volta mi fu benigna, ché, non credendo essi, di lui in alcuno luogo essere da me intesi, dissero la sua tornata essere vicina. Quanto ciò mi piacesse, invano mi faticherei ad esprimerlo. E in questa maniera con cotali pensieri, e con cosí fatte opere, e con molte altre a queste simili m’ingegnava di trapassare li giorni, a me nella loro picciolezza gravosi, la notte appetendo, non perché io a me piú utile la sentissi, ma perché, venuta, meno era del tempo a trapassare.

Poi che ’l dí, le sue ore finite, era dalla notte occupato, nuove sollecitudini le piú volte mi s’apprestavano. Io dalla mia puerizia nelle notturne tenebre paurosa, accompagnata da Amore era divenuta sicura; e sentendo giá nella mia casa ciascuno riposare, sola alcuna volta lá onde la mattina il sole montante avea veduto, me ne saliva, e quale Arunte3 tra’ bianchi marmi de’ monti Lucani i corpi celesti e i loro moti speculava, cotale io la notte lunghissime ore traente, sentendo alli miei sonni le varie sollecitudini essere nemiche, da quella parte il cielo mirava, e i suoi moti piú ch’altri veloci, meco tardissimi reputava. E alcuna volta vòlti gli occhi attenti alla cornuta luna, non che alla sua ritonditá corresse, ma piú aguta l’una notte che l’altra la giudicava, tanto era piú il mio disio ardente, che tosto le quattro volte si consumassero, che veloce il córso suo. Oh quante volte, ancora che freddissima luce porgesse, la rimirai io a diletto