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CAPITOLO II

Nel quale madonna Fiammetta descrive la cagione del dipartire del suo amante da lei, e la partita di lui, e ’l dolore che a lei ne seguitò nel partire.

Mentre che io, o carissime donne, in cosí lieta e graziosa vita, sí come di sopra è descritta, menava i giorni miei, poco alle cose future pensando, la nemica fortuna a me di nascoso temprava li suoi veleni, e me con animositá continua, non conoscendolo io, seguitava. Né bastandole d’avermi, di donna di me medesima, fatta serva d’Amore, veggendo che dilettevole giá m’era cotal servire, con piú pungente ortica s’ingegnò d’affliggere l’anima mia. E venuto il tempo da lei aspettato, m’apparecchiò, sí come appresso udirete, li suoi assenzii, i quali a me mal mio grado convenuti gustare, la allegrezza in tristizia, e ’l dolce riso in amaro pianto mutarono. Le quali cose, non che sostenendole, ma pur pensando il doverle altrui scrivendo mostrare, tanta di me stessa compassione m’assalisce che, quasi ogni forza togliendomi, e infinite lagrime agli occhi recandomi, appena il mio proposito lascia ad effetto producere; il quale, quantunque male io possa, pur m’ingegnerò di fornire.

Noi, egli e io, come caso venne, essendo il tempo per piove e per freddo noioso, nella mia camera, menando la tacita notte le sue piú lunghe dimore, riposando nel ricchissimo letto insieme dimoravamo; e giá Venere, da noi molto faticata, quasi vinta ci dava luogo, e uno lume grandissimo in una parte della camera acceso gli occhi suoi della mia bellezza