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26 l'elegia di madonna fiammetta


Cotale proponimento adunque servando, e sotto grave peso di sofferenza domando li miei disii volonterosissimi di mostrarsi, m’ingegnai con occultissimi atti, quando tempo mi fu conceduto, d’accendere il giovane in quelle medesime fiamme ove io ardea, e di farlo cauto come io era. E in veritá in ciò non mi fu luogo lunga fatica, però che, se ne’ sembianti vera testimonianza della qualitá del cuore si comprende, io in poco tempo conobbi al mio disiderio esser seguito l’effetto; e non solamente dell’amoroso ardore, ma ancora di cautela perfetta il vidi pieno; il che sommamente mi fu a grado. Esso con intera considerazione, vago di servare il mio onore, e d’adempiere, quando i luoghi e i tempi il concedessero, li suoi disii, credo non senza gravissima pena, usando molte arti, s’ingegnò d’avere la familiaritá di qualunque m’era parente, e ultimamente del mio marito: la quale non solamente ebbe, ma ancora con tanta grazia la possedette, che a niuno niuna cosa era a grado, se non tanto quanto con lui la comunicava. Quanto questo mi piacesse, credo che senza scriverlo il conosciate: e chi sarebbe quella sí stolta, che non credesse che sommamente da questa familiaritá nacque il potermi alcuna volta, e io a lui, in pubblico favellare?

Ma giá parendogli tempo di procedere a piú sottili cose, ora con uno, ora con un altro, quando vedeva che io e udire potessi e intenderlo, parlava cose, per le quali io, volonterosissima d’imparare, conobbi che non solamente favellando si poteva l’affezione dimostrare ad altrui e la risposta pigliarne, ma eziandio con atti diversi e delle mani e del viso si poteva fare; e ciò piacendomi molto, con tanto avvedimento il compresi che né egli a me, né io a lui, significare voleva alcuna cosa, che assai convenevolmente l’uno l’altro non intendesse. Né a questo contento stando, s’ingegnò, per figura parlando, e d’insegnarmi a tale modo parlare, e di farmi piú certa de’ suoi disii, me Fiammetta, e sé Panfilo nominando. Oimè! quante volte giá in mia presenza e de’ miei piú cari, caldo di festa e di cibi e d’amore, fignendo Fiammetta e Panfilo essere stati greci, narrò egli come io di lui, ed esso