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capitolo vii 149


Ella non mutò il passo né rispose alcuna cosa, ma postasi nella prima giunta a sedere, mi riguardava nel viso; ma io giá tutta come novella fronda agitata dal vento tremava, e appena le lagrime ritenente, messemi le mani nel petto, dissi:

— Se tu non di’ tosto che vuole significare il tristo viso che porti, niuna parte de’ nostri vestimenti rimarrá salda: quale cagione ti tiene tacita, se non rea? Non la celare piú, manifestala, mentre che io spero peggio; vive il nostro Panfilo? —

Ella, stimolata dalle mie parole, con voce sommessa, mirando la terra disse:

— Vive. —

— Dunque — diss’io allora — perché non di’ tosto quale accidente l’occupi? Perché sospesa mi tieni in mille mali? E egli d’infermitá occupato? o quale accidente il ritiene che egli a vedermi della galea smontato non viene? —

Ed ella disse:

— Non so se infermitá o altro accidente l’occupa.

— Dunque — diss’io — non l’hai tu veduto, o forse non è venuto? —

Ella allora disse:

— Veramente l’ho io veduto, ed è venuto, ma non quello che noi attendevamo. —

Allora diss’io:

— E chi t’ha fatta certa che quegli che è venuto non sia desso? Vedestil tu altra volta, e ora con occhio chiaro il rimirasti?

— Veramente — disse ella — io nol vidi altra volta costui, che io sappia; ma ora, a lui venuta, da quello giovane menata che della sua tornata m’aveva prima parlato, dicendogli egli che io piú volte di lui avea dimandato, mi dimandò che dimandassi, al quale io risposi la sua salute; e dimandatalo io come il vecchio padre stesse, e in che stato l’altre cose sue fossero, e quale era stata la cagione di sí lunga dimora dopo la sua partita, rispose sé padre mai non avere conosciuto, però che postumo era, e che le sue cose, degl’iddii grazia,