Pagina:Boccaccio, Giovanni – Elegia di Madonna Fiammetta, 1939 – BEIC 1766425.djvu/113


capitolo v 107


«Ma dalla tua giustizia medesima si dée muovere il meno male piuttosto volere che ’l maggiore. A te, a cui niente s’occulta, è manifesto a me per niuna maniera potere uscire della mente il grazioso amante né li preteriti accidenti, del quale e de’ quali la memoria a sí fatto partito mi reca con gravi dolori, che giá per fuggirli mille modi di morte ho dimandati, li quali tutti un poco di speranza, che di te m’è rimasa, m’ha levati di mano. Dunque, se minore male è il mio amante tenere, come io giá tenni, che insieme col corpo uccidere l’anima trista, sí come io credo, torni e rendamisi. Siati piú caro li peccatori vivere, e possibili a te conoscere, che morti, senza speranza di redenzione, e vogli innanzi parte che tutto perdere delle creature da te create.

«E se questo è grave ad essermi conceduto, concedamisi quella che d’ogni male è ultimo fine, prima che io costretta da maggiore doglia, da me con diterminato consiglio la prenda. Vengano le mie voci nel tuo cospetto, le quali se te toccare non possono, o qualunque altri iddíi tenenti le celestiali regioni, s’alcuno di voi vi si truova, il quale mai, quaggiú vivendo, quell’amorosa fiamma provasse la quale io pruovo, ricevetele, e per me le porgete a colui, il quale da me non le prende, sí che impetrandomi grazia, prima quaggiú lietamente, e poi nella fine de’ miei giorni costassú con voi io possa vivere, e innanzi tratto alli peccatori dimostrare convenevole l’uno peccatore all’altro perdonare, e dare aiuto».

Queste parole dette, odorosi incensi e degne offerte per farli abili a’ prieghi miei e alla salute di Panfilo, pongo sopra li loro altari; e, finite le sacre cerimonie, con l’altre donne partendomi, torno alla trista casa.