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capitolo v 103


«Tutte queste cose, con molte altre piú care, se ne portò Panfilo dipartendosi».

Quivi ancora dalle donne intorniata, e da diverse domande trafitta, a tutte con infinto viso mi conviene satisfare. L’una con cotali voci mi stimola:

— O Fiammetta, senza fine di te me e l’altre donne fai maravigliare, ignorando quale, sia stata sí súbita la cagione che le preziose robe hai lasciate e li cari ornamenti, e l’altre cose dicevoli alla tua giovane etade; tu, ancora fanciulla, in sí fatto abito andare non dovresti. Non pensi tu che, lasciandolo ora, per innanzi ripigliar nol potrai? Usa gli anni secondo la loro qualitá. Questo abito di tanta onestade da te preso non ti falla per innanzi. Vedi qui qualunque di noi, piú di te attempate, ornate con maestra mano, e d’artificiali drappi e onorevoli vestite, e cosí tu similemente dovresti essere ornata. —

A costei e a piú altre aspettanti le mie parole rendo io con umile voce cotale risposta:

— Donne, o per piacere a Dio o agli uomini si viene a questi templi. Se per piacere a Dio ci si viene, l’anima ornata di virtú basta, né forza fa, se il corpo di cilicio fosse vestito; se per piacere agli uomini ci si viene, con ciò sia cosa che la maggior parte, da falso parere adombrati, per le cose esteriori giudichino quelle dentro, confesso che gli ornamenti usati e da voi e da me per addietro, si riechieggiono. Ma io di ciò non ho cura, anzi, dolente delle passate vanitá, volonterosa d’ammendare nel cospetto d’iddio, mi rendo quanto posso dispetta agli occhi vostri. —

E quinci le lagrime dell’intrinseca veritá cacciate per forza fuori mi bagnano il mesto viso, e con tacita voce cosí con meco medesima dico:

«O Iddio, veditore de’ nostri cuori, le non vere parole dette da me non m’imputare in peccato. Come tu vedi, non volontá d’ingannare, ma necessitá di ricoprire le mie angoscie a quelle mi strigne, anzi piuttosto merito me ne rendi, considerando che ’l malvagio esemplo levando, alle tue creature