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sempre numerosa dei persiani e di altri popoli dell’Oriente, nondimeno facciamo osservare che noi ignoriamo come sussistevano queste informi aggregazioni di uomini e come si amministravano, che poco sappiamo anche come combattevano, e che dalla sola rassegna dell’esercito persiano deduciamo che non vi era né scelta negli uomini né uniformitá nelle armi né in conseguenza negli ordini. Ma conosciamo per altro che metodi imperfetti servivano a muovere masse enormi, le quali operavano col loro peso e non mai con la loro intelligenza, e che l’arte mancava di regole certe e non poteva essersi elevata all’altezza di scienza. Il primo carattere, del pari che il piú gran risultamento di essa, consiste non solo nel far vincere, ma nell’avere negli ordini di che riparare ai rovesci. Imperciocché come osserva col suo alto senno il Segretario fiorentino, non ci è scienza guerresca ove non ci è un sistema di spiegare le proprie forze a proposito o con misura perché le speranze rinascano di continuo; speranze che non ingannano finché quell’ordine sussiste, laddove il valore individuale privo di direzione e di speranze perde il suo primo vigoroso impulso. E cosi quel grande ingegno nota e spiega la salda intrepidezza delle legioni anche ne’ loro giorni sinistri e lo scoraggimento dei Galli dopo il primo loro assalto non riuscito (^).
L’osservazione del Machiavelli è applicabile cosi a’ popoli nomadi d’Oriente che alle nazioni celtiche ed alle orde scitiche. Senonché queste avevano sui primi il vantaggio di uomini meglio preparati alla guerra pel loro stato sociale, di un armamento piú uniforme e piú compito, e se non di ordini militari positivi, almeno di quelle abitudini che ne tengono luogo e che ne producono i risultamenti. Crediamo cosi aver risposto oli ’obbiezione che poteva farcisi e dichiarato perché ci limiteremo a comparar coi moderni i soli popoli inciviliti dell’antichitá, giacché questi soli avevano fatto della guerra una scienza.
La piú ristretta cognizione dell’istoria antica è sufficiente a far conoscere che i greci ed i romani, benché forniti di
(i) Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, libro III, capitolo XXXVI.