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— «Ciao, Conny!» gridò ad un tratto la fanciulla. Mi sentii un tuffo nel sangue, e la guardai cogli occhi scintillanti di sdegno e di ribrezzo.
Era la Lisetta; quella mia compagna di scuola di cui mi aveva parlato la fruttaiola.
Mi parve che mio cugino trasalisse stupito, e certo respinse il braccio di lei. Ma ella vi si aggrappò di nuovo dicendo forte:
— «Che stupida quella Conny! Siamo state compagne di scuola e finge di non conoscermi!»
La porta si richiuse dietro di me, e mi trovai in chiesa. Mi inginocchiai: i miei occhi erano fissi su una candela che ardeva sull’altare: e quella fiammella, agitandosi, mi pareva che s’allargasse e formasse delle grandi stelle che mi abbagliavano e mi stancavano: ma non pensai di guardar altrove.
Una povera donna, inginocchiata vicino a me, diceva al suo figliolo: «Di’: Buon Dio: beneditemi; fatemi diventare un bravo giovane, sincero e onesto.»
E nelle orecchie mi si ripeteva: «un bravo giovine sincero e onesto...» senza che riuscissi ad afferrarne il senso: solo mi si ripeteva nella mente questo pensiero:
— «L’ho amato! l’ho amato!» e mi chiusi il viso nelle mani con un senso doloroso di vergogna.