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— «Avete detto che è arrivato il babbo?»
— «Sì: e vi cercava.»
Ella corse a pigliare il fiocchetto della cipria: me lo passò sugli occhi e fece scomparire la traccia delle lagrime.
— «Ecco, miss Conny: potete andare.»
Entrai nello studio del babbo, ma mi fermai sulla soglia dell’uscio.
Egli non era solo: ritto accanto a lui, davanti al camino, c’era il conte Rinaldi. Era la prima volta che lo vedevo nella nostra casa: egli era là ritto, impettito e pallido come sempre.
Il babbo mi venne incontro: io gli buttai le braccia al collo e lo baciai con una commozione e una tenerezza tutta nuova: e anch’egli m’accarezzò e mi baciò commosso, come se leggesse nella mia anima desolata. Ma poi il suo viso si illuminò di gioia.
Mi prese per mano e mi disse con un sorriso:
— «Nevvero, Conny, che ho ragione? Dicevo al conte Rinaldi che tu non hai bisogno di pensare un giorno su quel che devi fare. Che tu senti prontamente e vivamente, e l’impressione diventa in te opinione o sentimento che non si muta mai, in eterno.»
Io lo ascoltava trasognata.
— «Conny: il conte Rinaldi è venuto a prendermi a Roma: siamo ritornati un’ora fa insieme. Egli è venuto a chiedermi se la signorina vorrebbe...»
Credo che ne’ miei occhi sia apparso come uno spavento perchè il babbo s’arrestò, guardandomi inquieto