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tudine affannosa, e avrei voluto precipitarmi giù, e correre a casa a piedi, sola! Finalmente la carrozza entrò in casa: scesi e dissi al servitore:

— «Riconducete la signora Contessa a casa sua,» ed io salii lentamente la scala; entrai in casa, apersi l’uscio del mio salotto e trasalii.

Egli era lì, ritto davanti a me, pallido e serio.

Si inchinò e mi stese tutte e due le mani.

Io m’appoggiai colle spalle al muro: non avevo più un filo di forza nè di fiato.

— «Conny... sono qui: dimmi perchè mi odii. Io ti dirò poi, perchè ti adoro.»

Io mi copersi il viso colle mani e singhiozzai senza piangere.

— Oh, non posso, Carletto!... non posso! è una cosa così orribile!... Morirei se la dicessi! Va, va! per amor di Dio!... Abbi pietà di te stesso se non vuoi averla di me... Va! ti risparmio una vergogna!» e rialzai la testa con disprezzo.

L’uscio si aperse e entrò miss Jane che si fermò cogli occhi spalancati di spavento, credo per il mio viso stravolto.

Io le andai incontro. Ella mi disse: «Don Emanuele è arrivato, lo sapete? m’ha fatto chiamare nello studio perchè venissi a dirvi che desidera di parlarvi.»

«Mi volsi: dissi: «Addio, Gian Carlo.» Egli si inchinò e uscì.