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Mi pareva d’essere impietrita: immobile nel fondo della carrozza, cogli occhi fissi in quelli di lui, avrei voluto penetrare collo sguardo fino in fondo alla sua anima.
Egli passò dalla mia parte, e mi prese le mani; io le ritirai con ispavento: no! dissi con una voce rauca.
— «Ma che cos’hai? Conny! parla, oh parla! Mi vuoi far morire?!..» Il suo viso era coperto di pallore.
— «Scendiamo! scendiamo! disse con impazienza l’Elisa saltando a terra.
— «Egli ha qui il phaiton, nevvero? — dissi — Potresti tornare a casa con lui.
— «Conny.... scendi.... ti prego!» Perchè quella voce esercitava su me un fascino così irresistibile? Perchè mi lasciai prendere le mani? e scesi di carrozza e lasciai che mi guardasse con amore, e mi dicesse con quella sua voce sommessa e dolce che mi fa tremare: «Grazie!»
Era una giornata fredda e nebbiosa dei primi di febbraio: non c’era anima viva sui bastioni.
L’Elisa volle passare sul viale che guarda giù nella strada di circonvallazione per vedere il tramway. Io camminavo come trasognata: Carletto mi prese la mano... un brivido mi corse dalla testa ai piedi... se la posò sul suo braccio. Egli rispondeva a tutte le domando curiose di sua sorella; e il suo braccio si stringeva sempre più al suo petto, come quella sera di Santo Stefano.