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— «Ma Conny! non capisco! non la conoscevi nemmeno questa Clara e sei turbata come se... Ah! brava! mi avevi spaventata!.. Senti dunque, cara: tu ti sgomenti di tutto: mi fai ridere... Tu che dicevi di conoscere il mondo meglio di chiunque altra!... Ma credi tu forse che il giovine che tu sposerai — chiunque sia — non avrà prima fatto la corte a questa o a quella? Cosa c’è di male? pretendi forse che facciano una vita di monaco? Non sarebbe certo un piacere, cara mia, se tutti gli uomini fossero tanti Filippi, o tanti conti Rinaldi... t’assicuro io!
— «Ma già, ha ragione mio fratello...»
— «Che cosa dice?» domandai con un filo di voce a cui volli dare un tono fermo.
— «Dice.... cioè, diceva che le signorine sono delle povere grulle: perchè pigliate sul serio la cortesia più comune, e come una dichiarazione di amore una parola gentile. Vedete subito grande il doppio ogni cosa...»
In quella la carrozza si fermò: eravamo sui bastioni.
— «Che c’è?» dimandò l’Elisa...
— «Il marchese» rispose il domestico. E apparve la figura elegante e bella di mio cugino, che si affacciò allo sportello della carrozza.
Il suo volto era raggiante di allegrezza.
— «Ah, ah! vi ho preso! Ma che cos’hai, Conny? ti senti male!... Che cosa è accaduto?» disse spaventato, e tutta la sua fisonomia si rannuvolò.