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della marchesa***; e sua cugina, donna Conny***» Poi disse a noi: «La signora Gemmi, una delle mie più buone amiche.» E sorrise, respirando più liberamente, ma non capì che non era arrivata in tempo.

La signora Gemmi mi fissò co’ suoi grandi occhi pieni di sorpresa e di inquietudine, disse ancora qualche parola, poi si alzò. Nel salutarmi mi strinse forte la mano, guardandomi fisso, poi mi disse con una voce piena di bontà, e quasi commossa. «Cara signorina, permetta che la baci.» E mi abbracciò stretto.

Non so come io sia uscita di là: so che mi trovai in carrozza cogli occhi sbarrati senza guardar nulla. I polsi mi battevano: le orecchie mi sibilavano: mi pareva che qualche cosa si fosse spezzato in me.

Una risatina dell’Elisa mi fece trasalire.

— «Ah, ah! se si dovesse credere a tutte le chiacchiere che si fanno in società, si starebbe freschi! T’ha ella detto ancora qualche altra cosa?... Ma come sei pallida, Conny, che cos’hai?... Dunque non t’è parsa stupida quella signora... come si chiama? non mi ricordo più: dev’essere la moglie di un bottegaio arricchito: lo scommetterei! M’ha fatto ridere davvero! Muore una ragazza? bisogna subito dire che è morta per amore! e già è più poetico che di dire: è morta di tifo o di gastrica, oppure di indigestione.»

Un dolore intenso, improvviso al cuore, mi tolse il respiro e mi fece chiudere gli occhi.

L’Elisa mi afferrò una mano, spaventata.