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Ma in quel punto mi sentii fissata e mi volsi istintivamente.
Era una signorina nel palco di casa Verri, che mi guardava: ma abbassò subito il canocchiale e due grandi occhi neri si fissarono ne’ miei con un’epressione cupa, dolorosa, e nello stesso tempo fredda, che mi strinse il cuore.
Era bruna, pallida, bellissima: aveva un vestito di tibet bianco, accollato, senz’altro ornamento che una crocetta d’oro. Mi domandai perchè aveva quella posizione strana: mi pareva che colle spalle si puntasse allo schienale della sedia: il suo seno si sollevava e s’abbassava, e le mani, che tenevano stretto il cannocchiale posato sulle ginocchia, e quelle braccia allungate, parevano rigide come di marmo.
— «Carletto» dissi «Chi c’è nel palco dei Verri...?
— «Non li conosco» — mi rispose senza guardare, e avviò un discorso col Rinaldi.
Mia cugina guardò.
— «Ma come, Gian Carlo! è la Clara de Lami con sua madre e suo fratello.»
— «Ah! è vero! disse lui.» Non l’avevo riconosciuta.»
— «Ha un’espressione antipatica: c’è qualcosa di maligno in quegli occhi scuri, nevvero Rinaldi?» — dimandò l’Elisa.
— «Non mi pare,» rispose serio.
— «Che sguardo freddo e altero gira intorno! dissi