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ora tu, buona e intelligente, non devi ostinarti, per puntiglio, nella tua... via! nella tua antipatia per il giovane... ammodo...» Ma in quella la vocina allegra dell’Elisa lo interruppe.

— «Siete qui? che cosa hai detto, Conny?»

— «Non è strano...?» continuò mentre salivo in carrozza «Gian Carlo che di solito se ne sta al Martini ad aspettarci, e viene, per compiacenza, all’atrio del teatro quando ci vede arrivare...» e rideva.

Sprofondata nell’angolo oscuro della carrozza, io vedevo brillare davanti a me gli occhi di Carletto che cercavano i miei.

Si entrò in teatro: lo spettacolo era già incominciato e la musica assorbì tutta la mia attenzione: non vedevo e non sentivo altro, nemmeno le chiacchiere incessanti di mia cugina.

Quando l’atto finì, battei le mani.

— «Cara Conny, non è ammodo lo star così attente allo spettacolo e applaudire» disse l’Elisa, e volle sorridere.

— «Lo so; ma sai che io al vostro ammodo non bado. Sono venuta in teatro per Don Carlo, non...»

— «Per Don Carletto?» dimandò il conte Rinaldi con la sua imperturbabile serietà, e si alzò per salutarmi. Non l’avevo veduto nè sentito entrare.

Mia cugina rise: e Carletto mi guardò con un espressione seria. Io arrossii, ma dissi stendendo la mano al Rinaldi. «Non per don Carletto.»