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— «Ammodo!» esclamai. «Che! ci vuol così poco per essere ammodo al giorno d’oggi? Basta dunque allungarsi con indolenza sul canapè; mandar in aria con grazia il fumo della sigaretta... accavallar le gambe e mettere in mostra la scarpetta lucida e la calza di seta?»
In quella vidi dondolare davanti a me il piede di Carletto, e tacqui arrossendo. Ma egli mi disse con quel suo bellissimo sorriso: «Avanti, avanti, Conny!»
— «Ho finito» risposi.
— «Ma che!» esclamò Filippo. «Hai dimenticato che un giovane ammodo deve avere anche certe risatine improvvise, e certi improvvisi silenzi che turbano e fanno pensare; e parlar a spizzico, a enimmi, a giuochi di parole... e la sua parola deve scoppiettare e scintillare come un razzo...»
— «Ma Filippo, Filippo!» supplicò l’Elisa.
— «.... di un fuoco d’artificio. Un giovane serio e timido che si siede ritto su una sedia e dice una frase piena di buonsenso, quello non è ammodo! e vi fa l’effetto d’una doccia d’acqua gelata; non è forse vero Elisa?»
Io battei le mani ridendo. Mia cugina si alzò indignata: Carletto, con una gamba sopra l’altra, si dondolava mandando in aria con grazia il fumo della sigaretta.
— È un orrore,» esclamò l’Elisa. «Credete di far dello spirito, e non capite che vi rendete ridicoli col