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— «Ma no!» esclamai sorpresa.
— «Oh, di’ che non è vero, se ne hai il coraggio!» aggiunse l’Elisa, ridendo di quel suo riso squillante di bambina. «... Lo dico ve’, a Gian Carlo!... Senti: ella non ha ancora, si può dire, avvicinato un giovane, e non li conosce che nei romanzi, ma ha già dichiarato che siete tutti degli sciocchi... ah, ah! dei piccoli spiriti vuoti di tutto fuorchè di amor proprio; che non v’occupate che di frivolezze, ecc. ecc.! Ma ti pare?!» e rise ancora.
Io ero diventata di fuoco: mi pigliò una grande stizza non so perchè.
— «Si; è vero, è vero!» esclamai.
— «E lo dici con tanta serietà?» rispose Carletto «Ah, ah! la donnina forte! la fanciulla superiore!... quella che detesta i partiti esclusivi! Eccola che giudica di un colpo e dà le sue sentenze più delle signore a cui ella rimprovera la maldicenza. Zitto! lasciami finire... Donna Conny non riflette...»
— «Non è vero.»
— «Non riflette su tutte le circostanze e non capisce che il più delle volte, quel che la colpisce come cattivo, in fondo non è che imprudente o irriflessivo: non è che un’apparenza, ma...»
— «Gian Carlo ha ragione.»
Mi voltai spaventata. Era Filippo che lo aveva detto: Filippo che mi guardava attento, appoggiato alla spalliera della poltrona di sua moglie.