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le mie!» risposi, e mi sedetti, pigliando di sul tavolino la Perseveranza.
Mio cugino si alzò e venne a levarmela di mano. «Manda Giacomo giù in istrada a comperare il Secolo» disse.
— «Oh Carletto, no! esclamai afferrandogli la mano che teneva il giornale. «Vedi! non ci intendiamo! Io non mi vergogno d’essere nobile: sono fiera anzi, della mia nobiltà, tanto più che il babbo sa tener così alto il nome della sua famiglia e lo rende due volte nobile.
Professo in fatto di politica — se è permesso a una signorina d’aver un’opinione — le idee del babbo; ma questo non vuol dire che io debba vergognarmi d’aver frequentato le scuole pubbliche, e di salutare le mie compagne, perchè sono figlie di bottegai.
I partiti esclusivi, lo dice anche il babbo, sono quasi sempre ingiusti, perchè le cose di questo mondo sono così confuse che spesso le più cattive hanno un lato buono e le buone qualche difetto...»
Ma che sciocca, non è vero? volevo persuader lui, il più aristocratico di tutti i giovanotti di Milano, lui che aveva sempre trattato le mie idee con tanto disprezzo!
Ma perchè non mi rispondeva? e mi guardava fisso in quel modo strano che mi toglie il respiro? Quegli occhi sono troppo belli: quello sguardo par che entri fin nell’anima...
Parlai ancora, ma non so che cosa dissi: a un