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che la chiami anch’io come la chiamano le sue compagne,» e la lodava de’ suoi profitti nello studio, e le diceva che il sapere è un conforto nella vita, qualunque sia la posizione nella società.

La fruttaiola mormorò: «Aveva proprio ragione!» Io riposi quella lettera nella sua scatola di torrone e abbracciai «il mio buon Moscerino.»

Ella immobile, mi lasciò fare, ma poi tutta commossa sollevò il bambino e gli disse: «Dà un bacio alla signora per me.» E i labbruzzi umidi del piccino si posarono sulla mia guancia e scoccarono un gran bacio.

Uscii da quella bottega col viso rosso, e portando nel cuore una contentezza che non avevo mai provato.

I miei cugini, dietro i vetri, ridevano. Io dissi tra me: «poveri grulli!» E credo che in quel momento avrei avuto il coraggio di dirglielo anche sul viso.

Mi accolsero tutti — meno la zia che s’era chiusa in un silenzio pieno di disprezzo — con un gran chiasso.

— «Ah, ah! racconta! racconta!» E Filippo mi condusse vicino a una poltrona.

Io mi sedetti, mi soffiai il naso, tossii, poi dissi: «Non racconto niente! perchè non voglio che si rida di quel che per me è commovente.» E mi alzai.

— «Ha avuto una disillusione» mormorò Carletto.

In quella annunciarono che era in tavola. Mio cugino mi offerse il braccio. — «Scusami» gli dissi, «c’è miss Jane.»

E lo piantai.