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Ella sollevò gli occhi, ma li riabbassò subito.

— «Non mi conosci?» le dissi: ma avevo capito che mi aveva riconosciuto.

— «Sono la Conny: la tua compagna della scuola elementare. Sto qui di faccia: ti ho riconosciuta un momento fa dalla finestra e sono scesa a augurarti le buone feste.»

— «Oh, grazie...» mormorò, diventando ancora più rossa; e si chinò confusa ad accarezzare la testina del suo bambino.

Io le facevo soggezione. Perchè?... per il mio vestito di velluto e per le mie pelliccie. Ed ella faceva soggezione a me... per l’aria grave che aveva sul viso, ma sopratutto per il bambino che le si aggrappava alle ginocchia. Chi di noi aveva ragione?

— «Non mi riconosci?» — ripetei.

— «Oh sì!... l’ho riconosciuta fin dal primo giorno che sono venuta ad abitar qui...»

— «Ah davvero? e sei stata contenta di rivedermi?»

Ella sorrise tristamente e disse: «Sì e no: contenta di veder che sta bene... che è diventata bella; ma nello stesso tempo m’ha seccato... Mi scusi, sa? ma vederla e non poterla salutare è un tormento.»

— «Perché non potermi salutare?»

— «Vuol ch’io la saluti in faccia alla gente?»

— «Che male c’è?»

— «Per me è un onore; ma per lei... Oh, ma ha