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scolastico: la figlia di don Emanuele, e misi, sulle prime, in soggezione compagne e maestre. So che anche la direttrice disse che le seccava un pochino di avermi nella sua scuola. Ma sapete come sono io...»

— «Entri in confidenza con tutto il mondo» interruppe mia cugina.

— «Purché non sia nobile...» aggiunse la zia.

— «Ero allegra; un folletto; — continuai — e diventai il beniamino di tutte. Due giorni dopo io non avevo più soggezione di nessuno e nessuno aveva soggezione di me. Nell’ora di ricreazione le compagne si rubavano il mio braccio destro e il mio braccio sinistro...»

— «Perché eri la figlia del sopraintendente! donna...»

— «Oh, zia! è crudele! Perché non vuole che io creda che mi si possa amare per me, per me sola?.. C’era un’unica ragazzina, la più brava e la più povera, che non mi si avvicinava mai; era il Moscerino. Mi faceva un dispetto! non capivo quella ritrosia: credevo fosse invidia. Un giorno si discuteva chi di noi avrebbe avuto il premio.

— «Il Moscerino» dissi io e molte altre.

— «Oh, no: l’hai tu, Conny! di sicuro!» esclamarono due o tre.

— «Io? ma che! prima di me c’è la tale e la tal altra...»

— «Oh, ma tu sei la figliola del sopraintendente!» rispose una, che si chiamava Lisetta.