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cugino, e lo trovai ancora più annoiato: si vedeva che gli seccava quel pranzo di famiglia. Si sdraiò in una poltrona con una gamba a cavalcioni dell’altra e prese un giornale.
La zia non mi aveva salutato: si sedette anche lei e mi disse con un’aria solenne:
— «Scusami, cara; ma nella tua casa regna un disordine scandaloso. Tu hai bisogno....
— «Di un’istitutrice di polso?»
— «No, no: l’istitutrice di polso finisce a diventar lei la padrona. No: volevo dire di un po’ di sommissione. Lasciati guidare da chi ne sa, cara Conny: da chi, come tua zia, ha una casa che è l’ammirazione di tutti!»
— «Siamo stati cinque minuti sul pianerottolo ad aspettare che il servitore salisse ad aprirci.» Si degnò di dire mio cugino.
— «Ah, sicuro: Giacomo l’avevo mandato via.»
— «Tu!» esclamò la zia «Ma sapevi bene che noi si doveva venire!»
— «La Conny ama le originalità,» disse Gian Carlo, o Carletto, com’io mi ostino a chiamarlo. «I servitori stanno in anticamera di solito; dunque il suo deve star sulle scale.»
Io risi.
— «Tu ridi sempre:» disse la zia «è una cosa che finisce ad irritare, sai?»
— «Oh, mi scusi: non riderò più.» E risi ancora. In quella entrò mia cugina con suo marito, il conte Filippo ** che rideva col suo vocione grosso.