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leggerissimo, che i pianti di un’anima e di un cielo primaverile.

Anima sentimentale, certo non temprata abbastanza; certo non assetata d’altro che di luce e profumo. Triste? No, malinconica, della malinconia che ogni giovinezza conosce almeno un poco, che fa piangere la sera e nelle notti lunari; che fa singhiozzare su musiche tristi; che fa sospirare per scene d’amore, adorare un nome o un fiore; che dà le grandi delusioni dimenticate all’indomani che tutti abbiamo chiamato amore, dolore, passione, quando avevamo ancora tanto bisogno di giocare e di ridere.

La poesia di Milly Dandolo è precisamente quella che l’anima sensibile e solitaria di una diciottenne, rimasta molto bimba, può darci; bimba sensibile a tutto ciò che è armonia, attonita davanti a tutto ciò che è misterioso moto dell’essere.

L’ispirazione non è profonda; le basta una nota lievissima a intonare il canto.

La meraviglia di chi non crede che questa poesia malinconica sia di una fanciulla cui tutto si