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nergie e di sentimenti, mutismo di bocche e di cuori.

Il disprezzo pei «pallidi indifferenti»; l’orrore per i muti, è in lei vero grido d’anima, aspra di giovinezza, avida di vivere in gioia e in dolore, in canto ed in pianto, in amore e in sofferenza.


Questa, di cui parlo ora, – Luisa Bruschetti – vorrei chiamare «miracolo d’amore» se il mutamento miracoloso non mi sembrasse eccessivo e ingiusto.

Davanti a questa giovane donna che, legata dal matrimonio all’uomo adorato, giunge persino a rinnegare, a «non riconoscere» i canti della sua giovinezza, io provo, e molti con me, un senso di pena indicibile, un’amarezza che è forse indignazione, e nello stesso tempo una sottile vena di gaiezza.

Possibile? La fanciulla ardita che, solo due anni fa, lanciava le sue squillanti note, inebriata di sè, esaltata dal suo stesso ardire ch’era forse eccessivo ma che era magnifico, è ridotta così dal matrimonio, in adorazione umile, in ginocchio