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poco lontane, un poco inutili, pronunciate quasi da una bocca infantile che canta, sospirate quasi da un cuore fragile che batte.
Non piacque, a taluni; la dissero appunto verbosa e monotona, per l’insistenza dolorosa su lo stesso tema, per la delicata facilità delle liriche, per certa sentimentalità e puerilità.
Questo suo immenso e inesausto dolore che singhiozza, quasi in ritmo di canto, è spesso troppo lontano da noi, troppo diffuso in pagine e pagine perchè possa compiutamente avvincerci; questa irrealità in cui si compiace, di fatina misteriosa con le mani piene di coccole e i capelli al vento e il cielo nelle pupille (Il libro di Titania) può apparire a taluni come una piccola posa.
Ma l’armonia intensa dei suoi versi, così liberi, così ondeggianti ad ogni moto dell’anima; la musicalità, la giovinezza chiara, fresca, di ogni suo libro; la ridente e pur mesta tenerezza ch’è in tutte le sue parole, fanno dell’opera sua una delle cose nostre più deliziose e più care.