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castellani cav. augusto |
Pantheon, del Colosseo, della colonna Traiana, educa ed inorgoglisce, e pare che quelle moli immense sfidino i secoli per avvezzare quasi il Romano sino da fanciullo a tenere alta la testa, e lo spirito dei sotterrati pare ribolla, rompa la zolla od apra il monumento ed aleggi su tutto, e la brezza stessa che susurra dal Tevere stendendosi all’intorno pare che dica «quì non può vivere che l’uomo artista.»
Augusto Castellani aveva inteso questa voce risuonargli nel fondo dell’anima fin da fanciullo, l’ascoltò e divenne vero artista.
Il museo Gregoriano è la più meravigliosa raccolta di orerie etrusche dissotterrate a Volterra, Populonia, Rosella, Chiusi, Cosa, Sarteano, Ardea, Tuscolo, Porto d’Anzio, sulle rive della Cecina e della Cornia. Ammiravasi ancora in Roma il museo Campana, acquistato dalla Francia per 4,800,000 lire, del quale scrisse il padre Secchi che «mostrate le orerie ai più valenti orefici di Roma, hanno per meraviglia sfidato la loro industria, scoraggiato il loro lungo esercizio, rapita la loro spontanea confessione che il lavoro è inimitabile, e che dinnanzi ad esso cadevano loro di mano gli strumenti dell’arte.»
Raccontasi che Anastasio il Bibliotecario trasse dagli archivi del Vaticano il catalogo degli arredi regalati da Costantino alla basilica di san Giovanni Laterano, stupendi per ricchezza e lavoro, fra quali altamente ammiravansi oggetti speciali di oreficeria, in calici, coppe, candelabri, incensieri, urne.
Ed i papi ebbero cura grandissima che l’oreficeria mentre in sommo onore era tenuta specialmente dalla Veneta Repubblica, non perdesse di merito in Roma, sede di ogni arte bella, ed ordinarono lavori, e vollero che gli artisti godessero rinomanza e ricompensa, così che narrasi Pacifico vescovo di Verona essere stato come orafo valentissimo, e le cronache del tempo lo chiamano «quidquid auro rei argento..... nullus unquam sic peritus in tantis operibus.»
E nell’istoria di quest’arte erasi il Castellani profondamente addottrinato, e le opere più stimate conosceva secondo il loro progredire secolo per secolo, e la vita degli artisti ripassava nella sua mente, e da tutto traeva l’inspirazione al bello, ed il coraggio per rispondere al giudizio del p. Secchi, che ad un cittadino di Roma non potevano i lavori degli antichi far cadere gli strumenti di mano. — Nulla eragli sconosciuto dagli oggetti antichissimi degli etruschi agli ultimi dell’età nostra: non ignorava alcuno dei grandi precettori dell’arte, e ricordava Cennino Cennini, l’Aretini, il Cione, il Pollaiuolo, l’Ugolino di maestro Pieri, il Roscietto, il Verrocchio, il padre del Ghirlandaio che vendeva dei belli fiori di argento e d’oro alle donne di Firenze sul Ponte Vecchio, quindi tutta la grande scuola del Cellini. — Con istudio profondo, con costante pazienza riuscì il Castellani a rendere le oreficerie di Roma sopra le altre celebratissime. Le specialità dei suoi lavori etruschi, de’ quali trovonne la tradizione in sant’Angelo in Vado, tra Urbino e Borgo san Sepolcro, ove le vaghe fanciulle dell’Umbria si adornano di collane e spilloni ed orecchini detti navicelle con