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renazzi cav. emidio

di fortuna. Non fa dunque meraviglia se nei bisogni reali molto v’entrasse la esagerazione, che non v’ha peggior censore di chi nella penuria invidia il molto da altri posseduto, e si querela perchè soli il cielo e la terra gli prodighino letto e tetto, ma non gli uomini e meno ancora chi sta nell’alto della pubblica cosa. - Le comodità del,vivere certo tornano gradite a chi può goderle, ma balza nel mezzo una nuova quistione la economica. Per offerire belle piazze, e vie selciate, e fontane, e giardini, e candelabri, convien dar fondo ad ogni comunale risorsa; conviene poi far riversare sui cittadini le spese del fatto ed i guadagni degli speculatori, e stringere intorno ai contribuenti quella catena di tasse la quale peggio che Prometeo sul Caucaso li lega, sì che l’avvoltoio possa far l’ufficio suo divorando il cuore di ogni produzione mano mano che questo cresce. E da ciò querimonie in chi è ricco, e caritatevole trasmissione dei pesi su chi gli sta sotto; questi che trova scarso il salario mormora e ne domanda l’aumento, quindi sulle belle piazze e sulle vie bene selciate e fra i pubblici giardini ed alla luce dei molti candelabri si tengono le adunanze, e le domande si stabiliscono perchè il ventre non soffra quando l’occhio venne soddisfatto.

Di queste e di altre penose condizioni conviene al certo tenerne memoria, quando il fatto ed il da farsi a considerare si venga in chi sta preposto alla edilizia. - Errore però gravissimo si fu quello di premettere il lusso al necessario, e molto consumare perchè si dicesse che Roma capitale nel pubblico vivere allo altre città non voleva rimanere seconda; e seconda non rimase poi alle città sorelle manco nel debito, senza che per questo il vivere privato delle classi media e bassa punto migliorasse.

Il Renazzi non divise dapprima con gl’idolatri dei classici ruderi l’idea di rimetterli al sole fino all’ultima pietra, e molti studi e molta fatica consacrò a quella vece nella attuazione di un piano che gl’interessi edilizi ed economici della città conciliare potesse. - Esso forse saviamente pensò che siccome epoca per epoca nei suoi monumenti sta scritta la grande e veramente gloriosa vita di Roma, così che chiunque la visita vi legge la repubblica nei fori, l’impero nei teatri e nelle terme, il cristianesimo nei templi, si dovesse pure con nuovi monumenti mostrare la Roma dell’Italia, ma in fabbriche le quali segnassero il progresso economico a cui la città si giudicherebbe fosse chiamata. - E gittata l’idea di questo riordinamento materiale, ecco gl’ingegni partirsi in due campi, e ciascuno accesamente fare studi e progetti, quali per la redenzione degli storici ruderi, quali per la redenzione delle classi che infino ad oggi abitavano luoghi non propri a cittadini, che liberalissimamente vengono ammessi a godere le frequenti feste sulle piazze apprestate. - Aprire difatti l’animo a tanta giocondità, folleggiare per le vie quasi Saturno avesse ricondotto la età felice cantata da Virgilio, unirsi, mescolarsi, confondersi con coloro cui il sorriso è una abitudine del vivere, e poi rientrare in povere stanze aperte a tutte le ingiurie delle stagioni, doveva necessariamente condurre gl’infelici od alla tristezza nel confronto di