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mazzoni giuseppe |
indipendenza d’Italia, e il distenebramento della buia notte, che copria la luce della civiltà e del progresso.
Correva l’anno 1853 e Giuseppe Mazzoni era imprigionato, chè il papale governo lo credette ravvolto nelle cospirazioni del 15 agosto di quell’anno, le quali avrebbero avuto a loro meta la sovversione del pontificio regime e la liberazione d’Italia dal servaggio straniero.
Fu rinchiuso nel duro carcere denominato di S. Michele, e malgrado i trattamenti crudeli e la selvaggia fierezza contro di lui adoperata, vi si mantenne calmo e dignitoso, e il martirio di quella prigionia sopportò per un anno e mezzo.
Non per questo cessò egli dall’azione di patriotta, chè anzi quel carcere aveva temprato la sua anima a più forti propositi. Nulladimeno si mantenne più cauto, e nel mentre ai doveri di liberale adempiva si occupava anco dei suoi studi di agronomia, ed in ispecial modo si applicò alla viticultura, e rese un suo possedimento, situato in Monte Mario poco lungi della Porta Angelica, modello splendidissimo della più perfetta coltivazione, nel che profuse ingentissima somma. E di vero è una meraviglia, e gli amatori di agraria nel mentre vi apprendono la vasta di lui cognizione in materia agricola, ne traggono insegnamento a progredire in quest’arte, che ben praticata la più larga fonte di ricchezze aprirebbe all’Italia. — E in tanta estimazione egli è venuto, e così chiaro nome siccome agronomo ha levato di sè che una Società estera lo incaricò di scrivere un progetto per migliorare le condizioni dell’Agro Romano, e gli fece patto di non pubblicarlo. — Ma noi confidiamo che questo progetto sarà di poi dalla stessa Società estera dato alla luce della stampa, e quivi si parrà sempre meglio la profondità e la grandezza del Mazzoni nelle cognizioni di agronomia.
I tempi veniansi maturando, e nel 1859 la nuova èra d’Italia incominciava.
Giuseppe Mazzoni stava sempre in Roma, ed ogni passo, che sul suolo italiano si facea per la unità e indipendenza della patria era una festa per la sua anima, ed aspettava con ansia febbrile l’ora, in cui l’astro della libertà risplendesse dai Sette Colli. — Ed in Roma egli essendo non venia manco sua opera a pro del paese, chè egli fu prodigo di sue sostanze per la causa della libertà, e la emigrazione soccorse con generosità senza pari, e la terra della città eterna insieme ad altri patriotti apparecchiava col senno e col denaro alla suprema liberazione.
Correva l’anno 1867. — Parea che i fati a quel tempo segnassero, perchè al Condottiero dei valorosi fosse concesso veder di nuovo rifulgere sul suo capo quel sole di Roma, che amaramente vide tramontare nel 48. Seguito da giovani forti e ardenti, da esuli romani, che lungamente sospiravano riabbracciare i