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massimo duca mario |
Appena col 20 settembre 1870 si stabiliva in Roma un nuovo ordine di cose dal governo italiano, il Duca Massimo era dai propri concittadini mandato al seggio dei Consiglieri comunali in Campidoglio. — E qui si parve sempre meglio il di lui amore al proprio paese, la di lui eccellenza nell’arte amministrativa, il di lui profondo sapere. — Imperocchè nel Consigliò erano i suoi discorsi in materia di finanze e di amministrazione ascoltati religiosamente per il mirabile svolgimento, con chiarezza di sceltissimo eloquio, di tutto quanto condur doveva a conservare il comunale tesoro e nell’istesso tempo a contentare le masse popolari, e utilissima fu sua opra nel far parte di tutte le Commissioni per la revisione dei bilanci, e nell’essere uno dei membri della deputazione provinciale e di quella dei pubblici spettacoli. E quando siccome Commissario delle ferrovie romane, fu inviato a Parigi pronunciò quivi sopra quel ramo un discorso, che rivelò sempre meglio le sue cognizioni in ogni materia, onde suonò altissima, e pubblica la lode anche presso straniera nazione. —
Fu egli Direttore della Cassa di Risparmio, e in questo nobilissimo Istituto fu di tanta utilità che ne rimase perpetuamente caro il ricordo, e l’ordine, la regolarità e l’esattezza dell’amministrazione, che vi stabilì, era cosa mirabilissima, e seppe quindi la prosperità procurarne, per il che fonte divenne di belle fortune economiche, e di splendidissimi interessi sì pubblici che privati. — E poichè di tutto proposito vi si applicò e vi pose tutti gli sforzi della mente e del cuore, tutte le immense cognizioni che possedeva, tutta la cura più assidua, così si debbe saper mercè all’illustre estinto se quella istituzione sviluppò con largo ed eminente progresso, su incrollabili e nuove fondamenta. — È però che noi lo vedemmo circondato sempre di grata benevolenza, e da molti richiesto ne’ suoi consigli, chè uomo non era- in Roma quanto e più che lui nelle cose amministrative perito, su tutto valevole a dare giudizi, ed apprezzabile sempre ne’ suoi giusti criteri, nelle sue ragionate esposizioni. — «Niuna cosa, disse il Palmieri, sarà mai più degna fra gli uomini che la virtù di chi si esercita per la pubblica e privata utilità.» — E questa virtù seguì sempre il Duca Mario Massimo, chè e nella pubblica e nella privata vita lasciò traccio onorate di se medesimo, perocchè sempre la pubblica e privata utilità ricercò e per essa si esercitò, onde l’amore, la stima, la gloria s’acquistò, e la immatura di lui morte fu cagione di pubblico e privato lutto. — Ei predicò sempre il precetto di un antico filosofo «sia la nostra cura non di vivere, ma di bene ed onestamente vivere. — Sia posto nella vita qualche certo fine, al quale si dirizzino tutti i nostri andamenti. — Ogni nostro errore viene perchè viviamo senza proposto fine, onde i nostri processi sono tenebrosi ed oscuri, non elevati per lucente calle da noi preveduto e certo;