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vincenzo galletti |
mano il compenso ad ogni fatica, e la compiacenza fra i triboli che stanno sulla via di chiunque veste un pubblico carattere, difficilissimo poi ai contentamenti siccome è l’amministrazione finanziaria nel Comune di Roma.
A noi per verità sembra impossibile che il Galletti non possa aver studiato quel grande quesito che si chiama «Agro romano:» ci sembra impossibile che nel mentre i suoi connazionali, e molti fra suoi concittadini avventuravano la vita fra le cospirazioni o nei combattimenti per la italiana indipendenza, non abbia esso rivolto un pensiero a ciò che fare si potrebbe per redimere tanta parte morta di Roma e convertirla a fonte di ricchezza.
L’Agro Romano ha una storia: parecchi libri si sono scritti. - Molti popoli siccome i romani furono battaglieri, vittoriosi, conquistatori, ma nessuno al pari di loro seppe appropriarsi con il sudore della fronte il suolo dei vinti, e meritarsi per la seconda volta con l’aratro ciò che con la spada aveva guadagnato. - Uno dei primi atti della repubblica fu quello di ricondursi alla costituzione di Servio, che l’ultimo Tarquinio aveva tentato di abolire; le terre furono divise fra i cittadini in ragione di sette iugori per ogni capo, ed il diritto di godere l'Ager publicus che dapprima era privilegio dei patrizi fu esteso anche ai plebei. I terreni parte venivano destinati al popolo, parte a speciale coltura, e questi si affittavano per grossi lotti; i terreni incolti finalmente venivano acquistati per occupazione da chiunque v’intraprendesse il dissodamento, con il che non acquistavasi la proprietà, sibbene un diritto temporario di usufrutto sopra il. pagamento allo Stato del decimo dei frutti. Le conquiste, le ricchezze importate in Roma svezzarono dalla agricoltura che fu affidata agli schiavi; alla divisione della proprietà successe il latifondo; nel popolo venne la brama di correr il mondo rapinando per acquistare in un giorno quanto avrebbesi dovuto guadagnare con il sudore di anni; scemò la libera e laboriosa popolazione, i campi rimasero inabitati, e l’Agro Romano divenne squallido e deserto. Alcuni pontefici ricordando l’antica ricchezza, pensarono a provvedimenti, i quali però fallirono alio scopo. Papa Zaccaria per lo spaventevole deserto che si era fatto intorno a Roma ordinò si fondassero tre villaggi detti domoculte. Adriano tentò la colonizzazione perchè la continuata sterilità rendeva spesse le carestie, a cui non sapeasi provvedere che con i magazzini annonari: poi fino a Pio VI pare che tutti rimanessero spaventati, e fu questi che ordinò si mettesse a seminato circa un sesto dell’Agro, premiando chiunque piantasse un albero di ulivo, ma i rivolgimenti politici lo distrassero dallo accettare il progetto che nel 1785 aveva presentato il prete Cacherano di Bicherasio per colonizzare tutta la parte settentrionale dell’Agro. Pio VII promise che, qualora la coltivazione riuscisse ad estendersi per quattro miglia fuori dell’abitato, il Governo con il prodotto della sovrimposta di migliorazione avrebbe fatto costruire i pubblici edifici per i nuovi villaggi, e proporzionò premi per chi avesse costrutto capanne, scavati pozzi, fornito di alberi uti-