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vincenzo galletti |
Nel 1835 dava in Roma mano di sposo a Concetta Catterina Bernini che facevalo padre di cinque figliuoli. Ma la sventura parve assidersi ferocissima sul limitare della sua casa, funestandogli gli anni più belli della vita, ed ora per il ritorno dai Borboni impedendogli di abbracciare i morenti genitori, ora immaturamente troncando le esistenze dei figli sui quali formava ogni più lieta speranza, poi rapendogli l’amata consorte, e finalmente nella primavera 1867 auche l’ultimo figliuolo, per le ferite riportate a Custoza. Tanti e così gravissimi dolori lo visitarono, mentre in Roma e con la parola e con gli scritti propugnava e validamente sosteneva la libertà di commercio in tempi ne’quali ai più pareva utopia o demenza pensare alle comunali franchigie. Membro nel 1844 della Camera di commercio di Roma, quindi giudice nello stesso anno del Tribunale di commercio, e nel 1846 presidente, trovò nella fiducia dei colleghi ogni prova di estimazione e dalla Camera stessa fu fregiato poi con medaglie d’oro.
Spuntavano intanto i giorni procellosi del 1848, e Ruggiero Settimo lo nominava agente consolare della Sicilia in Roma, dopo che dal balcone del Quirinale il pontefice aveva benedetta l’Italia. I tempi non furono certo dei più felici per disimpegnare funzioni che collidevano gl’interessi di due paesi agitati dalla rivoluzione, ma il marchese di Torrearsa che allora n’era ministro altamente commendollo. La restaurazione borbonica nella Sicilia gli chiuse il ritorno alla patria terra. Appresso alla restaurazione pontificia venne segnato nelle liste di proscrizione, e ne dovette grazia ad un amico del Prefetto di polizia francose lo sfuggire il bando. Non più potè in allora godere la fiducia del pontificio Governo, che questi sapendolo anzi tendente a massime liberali, più volte lo fece in casa perquisire, senza che nulla vi si trovasse per giudicarlo ribelle alle leggi dello Stato.
Viveasene Vincenzo Galletti per lo più ritirato, e solitario nella casa sua divenuta un santuario di ricordi per i molti dolori patiti, quando gli avvenimenti del settembre 1870 lo riscossero, e vennero a trarlo dalla solitudine per portarlo sul Campidoglio. Eletto membro della Commissione che doveva recare a Vittorio Emanuele il risultato del plebiscito con che Roma veniva annessa alla famiglia italiana, sommettendosi alla dinastia Sabauda, segnò con ciò il primo atto pubblico di sua vita politica: nel 1871 venne nominato reggente della Banca Romana, quindi fra i ventuno membri della Camera elettiva d’industria e Commercio di Roma. In questo tempo rinunziava la nomina governativa di giudice del Tribunale di Commercio, e la nomina a reggente della Banca Nazionale sede di Roma. Nel 1872 pubblicò cinque lettere sui provvedimenti finanziari dell’onor. Sella allora ministro, quindi con 4782 voti venne eletto a Consigliere Comunale.
Fu in quell’anno che dimessasi la Giunta Municipale venne nominato Assessore anziano, affidandogli la direzione del III° Ufficio «la Finanza».
I lunghi studi, la pratica degli affari, avrebbero potuto servirgli a norma nella