Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 8 — |
S’incurva, in lieto e fido porto approdo.”
Ho detto che furono cacciati i francesi di qua: aggiungo ora ch’e’ vi tornarono in breve, e che ’l nostro Paolo fu da capo chiamato ai pubblici offici.
Poco innanzi a questo tempo, e nella fresca età di ventisei anni, condusse in moglie una giovane costumatissima della nobile famiglia de’ conti Milzetti, di nome Giuditta, dalla quale non ebbe consolazione di figliuoli. Era già cominciato il ristauramento delle lettere italiane, essendo manifesto a ciascuno com’elle nel passato secolo fossero scadute ed invilite. E questa lode della spenta barbarie della ravvivata gentilezza del dire è da concedere a que’ pochi, che primi entrarono la buona via. Nè ultimo fra questi fu ’l Costa, il quale avendo ripigliati gli studi poco fa interrotti, e stretta amistà cogli eccellenti ingegni del Palcani, dello Strocchi, del Giordani, del Montrone, accortosi dell’errore, si dipartì dal mal cammino de’ corruttori, e ponendo continuo studio nelle mirabili opere de’ nostri classici, acquistò sapere ed arte di scrivere. Fatto del collegio elettorale, fu a’ comizi cisalpini in Lione; e di là tornato a Bologna, ivi si usò negli studi, e venne a quella perfezione del senno e del giudicio, a che rade volte veggiamo giugnere gli uomini. Fu pubblico professore ne’ licei di Treviso e di Bologna: poi tenne cattedra nella propria casa; dove, per la fama della sua dottrina, e parte per guadagnarsi titolo d’allievi della sua scuola, si ragunavano i più nobili de’ giovani italiani. Infra i quali, a numerarne alcuni, fu ’l conte Antonio Papadopoli, che raccolse lo memorie della vita del suo maestro; e Cesare Mattei, che quanto vivo lo amò, tanto ora lo piange morto, e procaccia con tutto il suo potere di apparecchiargli splendido e durevole monumento.
Una delle poesie del Costa, che vuole essere qui ricordata per la prima, sono le stanze, con che descrisse le principali sculture insino allora compiute dall’immortale Canova; le quali furono impresse del 1809 per festeggiare lo sperato arrivo di quel grande nella città di Bologna. E tu veramente finzione poetica sì bene immaginata, e con descrizioni evidenti e versi nobilissimi, che quel sottile giudicio di Pietro Giordani ebbe a dire: “non essersi invano da lui invocato al suo cantare il