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cio supino, mi giaccio bocconi, mando fuori un Gesù mio, mando fuori una parola a rovescio, ma il sonno non viene. La notte la noia non è sola; – chiama sull’armi le zanzare, e mi fanno una guerra mortale da fedeli alleate. Finalmente prendo un poco di sonno, – ma torpido, vuoto, senza balsamo di riposo, senza sogni. Potessi almeno farmi de’ sogni! chè la mattina dipoi m’ingegnerei a farne la storia, e a metterli in bello stile.
Sul principio, quando veniva la notte io mi consolava standomi alla finestra a godermi lo spirare dei venticelli, e lo spettacolo solenne d’un bel Cielo Italiano. Ma, dopo quello che mi avvenne una sera, ora appena cade il crepuscolo io chiudo le imposte, e disperatamente mi caccio nel letto. Sentite quello che mi accadde una sera. Io me ne stava, come v’ho detto, immergendomi lo spirito nella considerazione d’una gloriosa Natura, assorto in uno di quei momenti d’estasi e d’oblìo, nei quali l’uomo non è più una povera creta, ma è pellegrino dell’Infinito; e guardando sospeso sopra di me quell’azzurro immenso, sereno, gioioso, magnifico di stelle e di misteri, mi sentiva sollevare, mi sentiva intenerire: – a un tratto mi venne fissato l’occhio sulla Luna, che spuntava in un lato del firmamento, pallida amabilmente, e modesta; – allora il mio sentimento cominciò a svilupparsi in una forma più precisa, più palpabile, ed io volli esprimerlo con un inno, e cominciai:
È mesto il raggio della Luna, e Dio
Lo temprò in armonia colla Sventura.
Ma come fui a questo punto una fata leggiera