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sto, la fragranza ai fiori, – la dolcezza all’armonia. Schiaccia l’acume dell’intelletto, e lo rende bestialmente stupido, – e insugherisce il cuore, mortificandone la squisita sensibilità, disseccandovi dentro la lacrima del piacere e del dolore. Oh! la noia è il più insopportabile dei nostri dolori, perchè è il dolore della stanchezza; perchè non eccita in noi una forza, che valga a combatterlo. Essa non è un vulcano, ma cuopre di freddissime ceneri il sorriso della Natura intera.

E le ho tentate tutte per medicarla, ma senza pro. Il leggere non mi giova; – sto mezz’ora sopra un filaro, – e poi gitto il libro. Non ho più coraggio nè anche di scrivere i miei ghiribizzi; – i miei grilli son morti d’inedia, – essi volevano l’erba fresca del prato, e l’alito dell’aria aperta. – Non mi giova il passeggiare; – vado in su e in giù per i dodici passi della mia prigione, e di lì a poco torno a sedermi colla vertigine. – Se mi affaccio, vedo, è vero, un bel cielo, ma le sbarre, che mi traversano l’occhio, me lo tingono di color di ferro; – vedo un cerchio di monti, e mi paion sepolcri; – vedo una mandra di soldati, che la disciplina militare ha saputo convertire in altrettanti arcolai. – Pallida mi apparisce la verdura degli orti, e dei vigneti, e il canto degli uccelli mi suona lamento.

Alas poor Yorick! Io mi curvo sotto un peso, che non posso più reggere, e ho fatto di tutto per sollevarmene. Ho contato le battute del mio polso, e ho dovuto smettere; – ho fatto la guerra agli insetti, che mi son compagni, e ho dovuto smettere, perchè son troppi; – ho contato i travicelli delle mie due camerette, e sono diciotto e mezzo; – i travi grossi, e son otto; – ho contato perfino i mattoni,