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mava ad alta voce la serva, perchè mi recasse una cosa o l’altra; e sentendo che nessuno mi rispondeva, io mi accertava allora della prigione; ma ci rideva sopra, e non era più altro. Sovente sopra pensiere in un batter d’occhio m’indossava la giubba, mi calcava in capo il cappello, e tutto infuriato andava per uscire; – ma giunto alla porta mi accorgeva, che il chiavistello stava per di fuori, – segno evidente della prigione; – ed io al solito ci rideva sopra, e non era più altro. Benedetti i primi giorni della mia prigionia!

Oggi però è ben diversa la cosa. Io son mesto e spossato dalla noia, – e così penetrato fino al midollo del convincimento di essere in prigione, che questo pensiere dinnanzi agli occhi e alla mente mi brulica in infinite forme, come uno sciame di atomi innumerevoli traverso un raggio di luce; e così mi si è dentro inchiodato, che nei primi tempi della mia nuova libertà per avventura, crederò sempre d’essere in prigione.

Io sono mesto, e spossato dalla noia. La noia tacitamente ha tramato per me una così gran tela, che io non vedo parte donde salvarmi. Io son la mosca di quella tela, e più che mi dibatto per uscirne, e più vi dò dentro.

Oh! la noia è una parola sola, – una parola breve, che non conta più di quattro lettere, – ma il provarla è tal volume, che uomo al mondo non sfoglierebbe così per tempo, nè così di leggieri. La noia è l’asma dell’anima, – è una ruggine che può consumare la meglio temperata lama, che si dia; – è una cosa, che dai capelli alle piante ti fascia la cute d’un senso umido, fastidioso, ti perverte l’occhio, e ti fa veder tutto in bigio; – toglie il sapore al gu-