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mondo era una Provincia Romana, e qualunque nazione avrebbe portato a gara la testa di Bruto in aggiunta ai consueti tributi. Doveva ricorrere alla clemenza di Augusto? Oh! l’ultimo dei Romani non poteva ricorrere al primo dei tiranni. La Fatalità aveva incatenato lui alla Repubblica, e la Repubblica a lui. Erano due in un destino solo; – dovevano esistere insieme, perire insieme, e perirono. E poi conoscete voi la clemenza d’Augusto? Ve lo dica Perugia. – Augusto non aveva, che talento e libidine d’imperio; – del resto, ineccitabile come una pietra; un alito di passione non aveva mai increspato quel mare morto dell’anima sua. Un giorno fece un conto e barattò la testa di Cicerone suo amico contro quella d’un uomo, che appena conosceva, come farebbe un fanciullo dei suoi balocchi; e sotto manto d’amore carezzava Cleopatra per menarsela a Roma in catene in un giorno di festa, e d’orgoglio. Augusto avrebbe messo la testa di suo padre per puntello a un piede del trono, se quel piede non avesse posato in piano.
Il suicidio di Catone, di Bruto e di mille martiri della Verità, è un eroismo, – un fatto di natura trascendentale, che sfugge al compasso di una volgare filosofia. È il punto culminante dell’umana grandezza, è il Sacrifizio. L’invidia sola può tentare d’impiccolire le proporzioni colossali d’un tanto fenomeno, ma la ragione sdegna l’analisi, e si contenta di venerare. Il suicidio è vero, che in questi casi stacca un fiore dalla corona della Virtù; ma la Gloria raccoglie tosto quel fiore, – ne fa una stella, e l’aggiugne al suo serto immortale.