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CAPITOLO XV.
― Devo dirla come la penso? – Per un tratto del vostro discorso mi avete fatto una paura diabolica; – io credeva, che voi voleste volare; – io tremava per voi, ma poi mi sono rassicurato; – vi ho guardato i piedi, e li ho veduti immobili, e fissi come chiodi. – Per altro avete fatto un gran fare; – sbracciavate, – sbuffavate, – gli occhi fuori dell’orbita, – il volto infiammato, – le vene della fronte rigonfie; – vi pare a voi? – è la maniera di farsi venir male. E che paroloni! sesquipedalia verba: – e che voce avete fatto! ne ho sempre rintronate le orecchie! voi eravate in un accesso! mi avete fatto paura! io già pensava a una cavata di sangue.
Volete un consiglio da amico? Smettete cotesto stile, – non è per voi, – non ci guadagnerete, che l’asma. Voi non siete un uomo esaltato, – non potete esserlo, – avete troppo umore. Io lo so; – vorreste esser poeta; – ognuno ambisce di essere quel che non può. Invece di un buon cappello di feltro vorreste una bella ghirlanda d’alloro, – per mille ragioni, e, non fosse altro, per campar la testa dalle saette. Ma datevi pace, l’alloro non è per voi; – e ve ne regalassero anche un albero, non sapreste mai trarne una corona di poeta; – gran mercè, se voi ne cavaste una frasca da osterie. – Io lo so; – vorreste esser poeta, e vorrei essere anch’io; – ma come fareste quando il filo non arriva? – Vi compatisco; – avete letto Dante, l’Ariosto, Byron, Schiller, Goethe; – li avete gustati, – li avete sentiti; – vi compatisco; vorreste anche voi avere un’anima temprata come l’arpa eolia, che ad ogni minimo fiato rendesse ar-