Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
schiusa la porta. Venite, venite; io non dico per ischerzo; – il carceriere s’inoltra in punta di piedi, – non fa un rumore, – è leggiero come un alito; – un gatto ne perderebbe al paragone; – è carico, che non ne può più. Cosa ha messo su quella tavola? – Ora ho visto bene; – è un bel lume all’Inglese; – ora ha posato un calamaio, della carta, dei libri; poffare! di dove se la cava tanta roba? zitti! zitti! vediamo che si leva di seno; – oh bella! sono i giornali; e perchè no? – il Signore deve sapere come vanno gli affari, – anch’egli ha il suo partito in politica, – e poi ha una somma sui fondi di Parigi, un’altra su quelli di Londra; – se non gli premono i Tories, o gli Whigs, se non gli preme il juste milieu, la gauche, la droite, i consolidati gli premono; premerebbero anche a voi, se aveste che fare coi fondi.
Il Signore guarda tranquillamente il soprastante in facende, e tiene un bicchier di Porto vicino due dita alla bocca. Il Signore è tranquillo, beve e lascia fare il soprastante.
― Or ora verrà il caffettiere. Vossignoria beverà un Moka stupendo, e bollente. Sentirà che Rum! Giammaica di nome e di fatti. ―
Il signore gli risponde additandogli una bottiglia, e un bicchiere. Il soprastante riverisce, e butta giù stringendo gli occhi.
― Quegli avanzi li volete?
― Troppa grazia, Signore.
― Prendeteli, mi fate un piacere, mi levate il cattivo odore di camera.
― Con Vossignoria io non so che obbedire. ― E la sua parola non manca. Gli avanzi del pasto son lauti; – prende, prende, e riprende. Soprastante! soprastante! tu credi che nessuno ti veda, ma io ti