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CAPITOLO VII.


Il Povero è avanti, e gli sbirri fanno il corteggio. Salgono e scendono più volte; – voltano a destra, voltano a manca; – è un intreccio che la mente alla prima non può raccogliere in ordine; – in fine danno in un corridore lugubre lugubre, dove si può vedere l’oscurità, come disse Milton. Qui la vista non serve, conviene andare a tentoni. Giunti in fondo si fermano. Di lì a pochi minuti s’ode un rumor di passi che sempre più si avvicina; – finalmente senza averlo veduto comparisce un uomo con un mazzo di chiavi, – un uomo per così dire, con un viso duro, un viso cupo, che accresce le ombre del luogo. – Gli sbirri non gli dicono che due parole, e poi se ne vanno.

Ora il Povero e il soprastante sono in presenza l’uno dell’altro. – Ma non ci segue una parola, non ci segue uno sguardo. Il Povero non osa, il soprastante non se ne cura. Fra l’uno e l’altro giace un silenzio ineccitabile, una indifferenza letargica, come fra il beccamorti e il cadavere. Il soprastante tra la fretta e la rabbia apre un uscio basso più dell’uomo che deve passarvi, – poi si tira un passo indietro, come per dire al Povero: – entrate. Il pover’uomo curvandosi mette il piè sulla soglia, e il soprastante non crede opportuno di accompagnarlo, ma gli dà una spinta, e lo butta là come una cosa, che non è più buona a nulla. E così come dico arriva in fondo in un attimo; la stanza non è troppo lunga e con una spinta s’andrebbe anche più là, se il muro non si opponesse. Ora a qual Santo ricorrere? I Santi anch’essi vogliono salmi e candele. Egli non