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Carlo VI, coi lavori di Agostino, e Amedeo Thierry, coll’infaticabile e fecondo Capefigue, col Barante, col Villeneuve-Trans, col Lemontey, col Sainte-Aulaire, col Mignet, colle innumerevoli Storie particolari di provincia, col Segur, col Lacretelle, col Bazin, e tanti altri, che sarebbe soverchio rammentare, incomberebbe il giudicarlo ai critici francesi, mentre finora poco o punto profersero sentenza su questa opera del Sismondi. – Mi resta inoltre da nominare un lavoro storico uscito nel 35, – Storia della caduta dell’Impero Romano, e della decadenza della Civiltà dal 250 al 1000. E qui l’Autore principiando da una monarchia universale, ce la mostra soccombere all’urto di quei popoli, che non sapeva più contenere. E vediamo tosto questi popoli affaticarsi a ristabilire ciò che avevano distrutto, e da questo affaticarsi vediamo sempre più turbato l’ordine sociale del mondo antico, e come finalmente le società umane ritornano sempre più ai loro primitivi elementi, – al congregarsi isolato delle genti nelle città e nelle terre. Quindi comincia propriamente la formazione dei nuovi regni. – Questo libro non ha troppo merito scientifico, ripetendo l’Autore i resultati delle sue prime indagini, e presentandoli sotto il colpo d’occhio della Storia universale. Ciò che dissi dei difetti che trovansi nello sviluppo delle condizioni italiche, può ripetersi egualmente rapporto a quest’ultimo lavoro.
L’opera – Della Letteratura del mezzogiorno dell’Europa – nacque da una serie di lezioni tenute dal Sismondi in Ginevra; e stando al suo primo disegno, doveva contenere la Storia letteraria di tutta l’Europa. Pure, così com’è, oltre un’introduzione intorno all’estinguersi dell’idioma latino, e al for-