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nè bastavano all’uopo; e il modo onde espone l’ordinarsi delle città, cioè come si componessero delle amiche istituzioni romane, massime del Decurionato, delle costituzioni ecclesiastiche, delle immunità ed autorità dei vescovi nelle loro sedi, delle istituzioni Germaniche, e principalmente del magistrato degli Scabini, – il modo onde espone il nascimento delle leghe dei Comuni, che rappresentarono una parte così importante, la fondazione dei feudi e la posizione della nobiltà libera e della feudale, e le vicende della proprietà, che così essenzialmente si connettono alla forma politica delle nazioni, – questo modo, dico, lascia immensamente da desiderare, nessuno facendosi immagine giusta di siffatte cose, e trovandosi come smarrito in regione mezzo incognita. E così il difetto di precisione e di lucidezza nel rappresentare le condizioni di quei tempi più antichi ha dovuto esercitare per forza un cattivo influsso sul modo di ritrarre e distinguere i successivi.
La Storia delle Repubbliche Italiane è scritta sotto l’ispirazione d’un sentimento democratico. Questo sentimento ha dato una vita commossa e un colorito caldo a certe parti qua, e là, ma nel tempo stesso ha prodotto una monotonia, che, come sempre avviene scrivendo storie con soverchio studio di sistema, nuoce alla verità, anche senza intenzione dell’Autore. Perocchè non vorremo affermare che il Sismondi abbia a bella posta svisato il carattere storico; pure non è da negarsi, che forse senza giustamente saperlo egli non abbia di frequente sparso d’una tinta falsa i ritratti delle persone e dell’epoche. E, per citarne solo un esempio, il caso si verifica nell’ultima parte dell’opera riguardo a Cosimo I dei Medici. Ma per quanto il Sismondi restasse