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vimento. Non di rado la narrazione si leva ad una certa grandiosità, e procede con andamento conveniente al soggetto, a vicenda concitato e tranquillo, e prende quell’ampiezza di spazio opportuna al giusto sviluppo dei caratteri, e alla retta estimazione delle circostanze. Ma l’opera non è di certo senza difetti, e molto potremmo opporre all’esattezza dei fatti, e la critica storica non è maneggiata con quell’acutezza, che in tanta e così disparata vastità di materie sarebbe stato necessario. Non è chi non senta, che l’Autore non ha studiato gli archivi, cosa per vero dire quasi impossibile nella composizione d’un libro, che abbraccia tanti stati, e tanti secoli, – e molte cose, che narra il Sismondi sulla fede di antichi scrittori, e in parte contemporanei, colla scoperta di documenti e d’altri testimoni hanno già presa diversa fisionomia e valore, e la vanno prendendo ogni giorno, nè può essere altrimenti col progredire delle ricerche e della scienza. La quantità dei fatti registrati nei ricordi municipali, il rimescolarsi continuo delle storie di tante città e famiglie, ne rendono spesso faticosa la lettura, e ne scemano l’effetto; e in una Storia avviluppata, inestricabile, com’è l’italiana, è fuor di modo difficile serbar le misure, e impedire, che tratto tratto non occorra una lista di nomi, e un nudo scheletro di avvenimenti e di affari, che mal corrispondono al concetto del lettore. Una delle parti più deboli dell’opera è lo sviluppo delle costituzioni repubblicane, e delle modificazioni che col tempo subirono, e qui non ci sono solamente lagune, ma molte cose che addirittura non reggono. – Le cognizioni del Sismondi intorno alla storia dei governi e del diritto, e intorno alla legislazione degli statuti, per quanto s’industriasse, erano scarse,