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cuni dei quali portavano il titolo di vassalli dell’Impero, alcuni del Papa, e altri ambedue questi titoli, ma in sostanza governavano assai liberamente, come i Duchi di Savoia, Mantova, Ferrara, Massa, Urbino, e via discorrendo; e delle Repubbliche rimaste in piedi, Venezia benchè d’assai indebolita manteneva sempre una grande potenza, Genova faticosamente si destreggiava tra Francia e l’Impero, Lucca e Siena esistevano per grazia speciale, e la seconda per poco, mentre Firenze, dopo tre anni di sforzi magnanimi per rompere le catene in cui l’avevano messa i suoi cittadini, periva per sempre. E così il Sismondi imprese a descrivere l’epoca la più importante, la più viva, la più operosa della storia d’Italia, dedicandosi a questa impresa con tal calore da mettere in evidenza quanta parte prendesse nel fato di quei popoli, e con quella costanza di proposito, e dignità di coscienza, che a così alto grado l’innalzano come scrittore. Studiò colla più grande applicazione, e adoperò tutti i materiali che potè avere, nè gli rimase sconosciuta cronaca importante, o storia che valesse. Ma per quanto io sappia non fece ricerche di archivi, e si servì affatto di cose stampate. Le materie pertanto così radunate dispose in bell’ordine, e compose l’opera. Lo stile è scorrevole e chiaro, e si trova nel Sismondi quel singolare dono che hanno i Francesi della lucidità e precisione, senza potergli apporre la taccia di superficialità, di che sovente furono biasimati gli scrittori di quella nazione, massime i più antichi, giacchè molto diverso mostrasi l’operare di parecchi tra i moderni. E un benefico calore di sentimento spira per tutta l’opera, e i grandi avvenimenti sono dipinti con verità, e aggruppati con arte, e i personaggi hanno vita e mo-