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Elisabetta
- (fredda e severa).
Che avete a dirmi, Lady Stuarda? Voi desideraste parlarmi. Ecco, io mi scordo la regina, la tanto gravemente offesa regina, per adempiere l’ufficio pietoso di sorella, e concedervi il conforto della mia presenza. Io séguito l’istinto di un animo grande, e mi espongo ad un biasimo ben meritato scendendo tanto in fondo,.... poichè voi ben sapete, che un tempo voleste farmi ammazzare.
Maria
Donde darò principio, e con quale artificio disporrò le mie parole, perchè vi si appiglino al cuore, ma non vi offendano? O Dio, invigorisci la mia eloquenza, levandole ogni spina, che potesse pungere! Ma tuttavia io non posso parlare a mio pro, senza gravemente accusarvi; e nol vorrei. Voi mi avete trattata come non è giusto, dacchè io sono regina non altrimenti che voi, e voi mi avete tenuta come prigione. Io venni a voi come supplice, e voi in me violando le sante leggi della ospitalità, e il santo diritto delle genti, mi chiudeste fra le mura di un carcere; – gli amici e i servi crudelmente mi furono a forza tolti; – abbandonata in una ignobile miseria; – tradotta dinnanzi a un vituperevole tribunale. – Ma non più di questo! Un eterno oblio cuopra le durezze da me patite. Vedete! Io voglio chiamar tutto questo un destino; voi non siete rea, nè io il sono; – un cattivo spirito si levò dall’inferno per infiammare nei nostri cuori l’odio, che già disunì la nostra tenera giovanezza. L’odio crebbe con noi, e tristi uomini aggiunsero soffio alla malaugurata fiamma. Stolidi fanatici la non chiesta mano armarono di spada e di stiletto. – Destino maledetto